Fermare
le cose nel tempo per poterci ritornare
Le
strade bianche di Luigi Biagini
di
LUCIA BONI
II protagonista di "Le avventure di un fotografo", di Italo
Calvino, ribadisce risoluto che fare foto (non da dilettanti) e una questione
di metodo: la foto non deve essere solo una fetta temporale, dello spessore
di qualche secondo, ritagliata della continuità mobile che ci circonda,
ma occorre fotografare quel soggetto sempre, a tutte le ore del giorno
e della notte. Occorre fermare tutte le fugaci perfezioni di cui è
fatta la realtà.
Si può assimilare questo ossessivo impegno di fotografo aI profilo
di Luigi Biagini?
A parlarne con lui emergono una forte volontà e determinazione,
un'energia instancabile nel lavoro e nella vita: quella che definisce
ripetutamente "fissa di fissare le cose". Con la parlata toscana,
che si fa vieppiù valanga, nella descrizione delle cose e nei gesti,
rivela ben altro coinvolgimento, oltre alle ragioni formali che delineano
un metodo. Partiamo dalle strade bianche di Luigi per un discorso sul
metodo, ovvero sul fotografo, sull?occhio e la visione e non solo.
Le domande: Scegli tu soggetti e temi? Come li affronti? Hai punti di
partenza precisi e mete già configurate da raggiungere? E tappe
obbligate? C'e un concetto di fondo nel tuo lavoro?
"Fermare! Si! Fermare le cose belle che possono cambiare. Fermarle
per poterci ritornare".
La storia delle strade bianche è cominciata vicino a casa, a Carrara,
le strade delle cave, poi a Siena sulle colline, percorsi come quelli
che le dita compiono sulle morbide curve di corpi adagiati. E? facile
innamorarsi di un paesaggio come quello toscano, viaggiare senza meta
precisa e trovarsi, in fondo a una salita, un microcosmo come il Borgo
del Vento, rimasto come potevano trovarlo i viandanti sull'antica Via
Francigena. Ma non tutto rimane fermo. Si fotografa per mostrare come
si trasforma il paesaggio nel tempo. I libri-catalogo dei percorsi di
Biagini in questa regione e i nastri delle strade bianche, ondulate e
solitarie, hanno originate I'interesse per un analogo lavoro di ricerca
nel territorio ferrarese.
Anche da noi una volontà di "progresso" ha trasformato
in nere strade d'asfalto gli antichi percorsi di terra battuta dai nomi
poetici. La geografia della nostra provincia è altra da quella
senese, ma anche qui, a cercarli, esistono luoghi nei quali desiderare
di tornare.
All'occhio del fotografo toscano (o al suo obiettivo) non è stato
subito facile "capire" il "senso" di questo paesaggio.
L'ossimoro costituito dall'azione volontaria del "capire" e
al tempo stesso
Lucia Boni
dalla passività delI'essere pervasi del "senso" intimo
delle cose è il nodo del metodo, e non riguarda solo I'arte della
fotografia.
Bisogna studiare un tragitto con la piantina, poi bisogna lasciare I'auto
e andare piano, a piedi. E? un'avventura! Una serie di primi fotogrammi
può diventare un' organica indagine sulle strade bianche del ferrarese
e una possibile mostra alla "Galleria del Carbone". La mappa
dei punti, luoghi, nomi interessanti. Strade da bicicletta, delle quali
conoscere ogni dislivello e caratteristica. Bisogna darsi un'organizzazione
diversa. Pensare alla luce, all'aria, al mare.
"Vado subito a vedere i posti. II mare è nella direzione opposta
rispetto al Tirreno. Si deve rovesciare il pensiero consueto! La luna:
devo capire quando si alza, dove la vedo nel cielo rispetto alle cose,
quanta luce dà. Santa Bianca, Trava, Aranova, la Bosca, via dell'Ansa,
via Prospera. A Torre dell'Abate la sera il tramonto è alle spalle
se guardo il mare. Ci vado di notte, per esser già Iì molto
presto al mattino. Faccio dei disegni e poi ci torno. Fotografo in una
direzione precisa, il cielo con la luce del nord. La campagna qui non
mi diceva molto. Niente che mi avesse colpito, niente che potesse distrarmi
o attrarre la mia attenzione. Ma mi volevo aiutare, per capire, per accettare.
Che non ci sono rilievi in questa pianura, si sa. Nel paesaggio di Siena
ti senti coccolato. Qui si è smarriti, non protetti.
Poi c'e stato un momento magico. Aprire gli occhi e dire: ecco I'orizzonte!
E? Iì il punto!".
Non so se Luigi stesse pensando al Roland Barthes di "La camera chiara".
Certo ha descritto lo stesso affastellarsi di sensazioni forti. Un'agitazione
interiore, una festa, un lavorio, la pressione dell?indicibile che vuole
esprimersi. "Mi pareva - dice Roland Barthes - che la parola giusta
per designare (provvisoriamente) l?attrattiva che certe foto esercitavano
su di me fosse I'avventura nel senso di avvenire. La tale foto, la tale
situazione 'mi avviene?, mi anima e io la animo".
Ci si lascia prendere da un benessere che si può chiamare 'affetto'.
Se I'affetto è 'medio' non è che un interesse razionale,
definite da Barthes studium, e siamo noi che ne andiamo alla ricerca.
A volte I'affetto è talmente potente che lo subiamo. Ci lasciamo
colpire, trafiggere, ferire, pungere. Questo è il punctum. E quando
accade è un turbamento e bisogna averne coscienza.
"lo - dice Biagini - mi atteggio a recepire, provo a mettermi in
sintonia con le cose. Ci torno, mi voglio svegliare ed essere già
Iì. La campagna ferrarese dovevo ancora capirla. Per lasciarmi
toccare, dovevo lasciarmi andare. Capire la luce, che cambia la qualità
della materia. Ecco I'orizzonte. Puoi guardare molto lontano, non finisce
più. Ci si deve esercitare nella disciplina di guardare il vuoto".
Si può fotografare il vuoto, I'assenza, il non essere.
In Calvino, il fotografo, rimasto solo, per la sua ossessiva determinazione
di scavare dentro il senso del fotografare, alla fine del racconto scattava
compulsivamente. Fotografava la stanza in tutte le direzioni. Fotografava
I'assenza di lei.
Anche a Biagini è capitato di fotografare la sala di una galleria
d'arte -
vuota - in vista dell'inaugurazione del nuovo spazio espositivo. Ne è
nata la mostra "Amor Vacui" a Massa.
"Fotografare il vuoto fa risaltare tanti piccoli particolari dei
quali non ti saresti accorto, saresti stato distratto da tante cose. Nel
vuoto si guarda meglio. E poi avevo fatto anche le foto al fumo, e anche
Iì si vedono tante cose. Si vede I'essenza delle cose, la parte
più importante. Quando ci sono più stimoli effettivamente
ti perdi qualcosa.
Nella pianura di Ferrara sembra non ci sia niente, poi ti accorgi: c'è
dell'acqua, c'è un piccolo rilievo, c'è un volo davanti
a questo orizzonte che non finisce più."
Allora si tratta di un vedere 'agito' o 'subito', nel senso di lasciarsi
pungere da un punto? E viene colpita maggiormente la testa, o sono gli
occhi, o la pelle? "Dove passo, se ho sentito delle emozioni forti,
allora fotografo. E stato così a Santa Bianca, pas-sata I'idrovora,
con la luna piena, che c'ha messo un po' a tramontare: la mente è
stata col-pita dalla meraviglia, gli occhi andavano lontano, alberi e
alberi e alberi, lontani e piccoli, e il colore ... e Iì la pelle
si 'accappona', ti senti come una luce bianca tutt' intorno alla testa".
Altro tema che riporta a Roland Barthes. Lo scatto ferma un evento nella
sua evoluzione, per-tanto non potrà avere sviluppi ulteriori. Perfetta
e la posa, quando è carica della sostanza di quel momento.
Lo stesso accade per I'haiku. La notazione dell'haiku e di essere fatto
poetico non sviluppabile. Tutto quanto è da dire e già detto.
Non è 'descrizione' della natura in una certa condizione e momento,
'è il momento. Tutto è designato e non si offre a possibili
espansioni retoriche. Si tratta di un'immobilità viva.
Come la "Bella addormentata nel bosco" è una figura ferma,
immobile, che rimanda al suo passato fiabesco e prefigura un arrivo. Ma
I'incanto e I? emozione che la fiaba genera stanno soltanto in quella
fissità.
La nostra pianura, i nostri orizzonti ampi, le nostre strade bianche,
le nostre idrovore, i nostri pioppi, non sono questi i soggetti di Biagini.
La nostra fissità, il tempo fermo e sospeso è il punctum.
La fotografia è un atto di convalida di un accadimento. E come
dire ' ciò è avvenuto ?, e 'avviene' al presente ogni volta
che si riguarda la foto.
Pur immobile, l?immagine rifluisce ogni volta in realtà e si fa
sirena che attrae nel suo tempo.
E si va alla ricerca dell'aria, spazio vitale che esorbiti dal rettangolo
di carta.
Si cerca I'aria nel ritratto di chi si ama, nelle cose e nei luoghi, ed
è struggente, quando non è solo memoria ma presenza che
ci ferisce, ci punge, in un punto sensibile della nostra intimità.
La foto non è constatazione. È esclamazione!
Una domanda ormai pleonastica: il tuo impegno di fotografo è più
scientifico, speculativo, sociologico? Oppure un lavoro poetico? E I'
estetica che posto occupa? L' orizzontalità, le verticalità
che intersecano, le ondulazioni, le traiettorie delineate o sottintese,
una presenza improvvisa che sorprende, un'ombra che entra a forza nel
riquadro, sono elementi suggeriti dal reale e contingente - chiedo a Luigi
Biagini -oppure
c'e una tessitura personale, come in filigrana a prescindere dal soggetto
o dal testo visivo? Una sorta di firma?
"Tolti tutti gli automatismi, trovate le poste, come i cacciatori,
scatto proprio quello che avevo in mente! Però la foto è
ancora tutta da fare! La costante? Mi catturano i cieli. Un cielo con
le nuvole è più stimolante da fotografare, un cielo sereno
è un po' più 'scemo'! Però può essere tutto
...".
Interpreto, usando Baudelaire: il desiderio o il disporsi al coinvolgimento
di fronte a un paesaggio è una specie di richiamo, di "veggenza",
verso un tempo utopico o indietro verso non so quale regione di se stessi:
"dinanzi a questo paesaggio è come se fossi sicuro di esserci
già stato o di doverci andare!".
Dopo
la mostra "Le strade bianche di Luigi Biagini". Ferrara, Galleria
del Carbone - Settembre 2008
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